Di dati e previsioni sull’impatto che l’emergenza coronavirus avrà sull’economia italiana ne sono stati forniti, fin dalle primissime settimane di lockdown, svariati e con conclusioni in parte contrastanti. Perché? Perché come molto altro che riguarda il covid-19 si hanno ancora poche certezze: non è ben chiaro quanto ancora dureranno le misure di lockdown e di contenimento del contagio imposte dai diversi Paesi, come si proverà a far ripartire l’economia locale, come gli Stati tenteranno di incentivare la ripresa interna e di arginare situazioni critiche o che avvicinino la popolazione a uno stato di povertà e via di questo tempo. Ci sono, però, almeno due errori da evitare nel valutare il (possibile) impatto economico del coronavirus.
Coronavirus ed economia: come valutare (correttamente) l’impatto della crisi sanitaria
In primis, è sbagliato e da evitare il più possibile fare scenari e analisi limitati a un solo Paese o, peggio, a una sua regione. Lascia il tempo che trova, insomma, analizzare l’andamento dell’economia con il Coronavirus in Ticino o chiedersi come sarà la ripresa soprattutto nel Mezzogiorno italiano. Il sistema produttivo di un Paese è, infatti, un sistema olistico e il rallentamento produttivo di una sua area ha, nella pratica, affetti ad ampio raggio e che vanno ben oltre i confini geografici di quella stessa area. È questa tra l’altro la ragione per cui, per restare al caso Italia, non si può pensare che la crisi economica post-coronavirus abbia impatto solo sulle regioni del Nord (Lombardia, Veneto, Piemonte) più colpite dall’emergenza sanitaria: semplificando molto, sono il cuore industriale del Paese, quello da cui passano scambi commerciali e produzioni di materie prima indispensabili alle industrie del resto del territorio nazionale, quadro che non lascia immaginare insomma una localizzazione della crisi economico-finanziaria. Allargando ancora di più lo sguardo, andrebbe considerato che ciò che pesa di più sulla bilancia degli Stati è, oggi, l’import ed export: non si può immaginare, insomma, una ripresa economica dell’Italia senza la riapertura delle esportazioni e, soprattutto, senza la disponibilità degli altri Stati a spendere. È in quest’ottica che ha senso parlare, sì, di ripresa economica post-coronavirus e invocare misure ad hoc a sostegno dell’economia, ma farlo in un’ottica globale e che richieda l’impegno congiunto di tutti gli attori.
Il secondo errore è, invece, pensare che la crisi economica nel post-coronavirus possa essere limitata a solo alcuni settori. Quello che queste settimane di lockdown hanno insegnato, infatti, è che ci sono, sì, alcuni settori economici più vulnerabili di altri: quello dello spettacolo e dell’intrattenimento, per esempio, ma anche e soprattutto quelli turistico o del lusso per restare al panorama italiano. Anche in questo senso, però, le interconnessioni sono maggiori e più ramificate di quel che si immagina e non ci sarà ripresa solida che non passi da un lento ricominciare delle attività in ogni campo. Per questo, ancora una volta, lo sforzo da chiedere ai Paesi sarebbe di misure studiate attentamente, in considerazione delle singole esigenze e capaci di incentivare di nuovo la crescita settore per settore.